How it started
Esiste qualcuno al mondo che non abbia mai visto Coco? Che non si sia perso nei suoi colori accesi, nei suoi altarini pieni di candele e nei suoi abbracci con l’invisibile?
La risposta è facile: nessuno.
Tranne mia sorella, che per questo meriterebbe l’ergastolo senza appello.

ll Messico per me è stato amore al primo viaggio. Di quelli che non ti dimentichi, perché ti rimangono addosso anche quando torni a casa, nella tua tiepida routine, con la testa immersa nei pensieri e nei ricordi di quanto hai vissuto.
Ci sono andata per la prima volta da sola, a 22 anni, con quella fame di mondo che solo i primi viaggi fuori Europa riescono a placare, e che, poi, inevitabilmente, amplificano.
Ci sono tornata anni dopo, a novembre.
E per puro caso — o forse no — ho festeggiato il mio compleanno il 2 novembre.
Il giorno dei morti.
Proprio lì, proprio in Messico.
Per una volta, ho spento le candeline tra cimiteri, tequila e ofrendas. E no, non è stato strano.
È stato potentissimo.


Cos’è el Día de los muertos
Il Día de muertos è una giornata, o meglio, una settimana di festeggiamenti per celebrare la morte, in quanto essa stessa una tappa inevitabile della vita; queste due fasi, che si collegano e si intrecciano, sono l’una tassello fondamentale dell’altra.
Questa festività, in Messico, è una delle celebrazioni più importanti dell’anno, ed è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità.
Le radici di questa tradizione sono antichissime, riconducibili alle civiltà precolombiane, la cui credenza era che la morte fosse un rito di passaggio a un’altra dimensione. Con l’arrivo dei colonizzatori spagnoli e della religione cristiana nel “nuovo mondo”, queste credenze si sono fuse con il cristianesimo, in particolare con il culto cattolico di Ognissanti e della commemorazione dei defunti. Questo mix ha generato una tradizione nuova ma antica (aspetta, mi spiego meglio), l’attuale festa dei morti ha preso il meglio dei due culti, delle due filosofie e dei due modi di approcciare alla fine della vita (terrena) generando qualcosa di davvero unico, una ricorrenza che è colorata, rumorosa, ma soprattutto, una festa; sì, una festa, per celebrare chi non è più con noi fisicamente, ma che, in questo giorno tanto speciale dell’anno torna a trovarci.


La morte spiegata dai vivi
Il Día de Muertos non è, quindi, il nostro giorno dei morti. Non è lutto, non è silenzio. È un tempo sospeso in cui, secondo la tradizione, i morti tornano a casa, e non in punta di piedi. Tornano tra il profumo del pan de muerto e del cempasúchil, tra le risate dei bambini mascherati da teschio e le note lontane di un mariachi.
In Messico la morte non si nasconde.
Si prepara il suo posto a tavola.
Le si parla.
Si brinda con lei.
E il paradosso è che non fa paura. Non è oscura, non è tragica. È parte della vita. E in certi momenti, sembra perfino più viva dei vivi.
Le case si riempiono di altari, le strade di colore, i cimiteri di vita. In Messico, la morte si balla. Ho visto persone bere tequila sedute sulle tombe, raccontare storie a chi non c’è più, accarezzare una foto come fosse un volto.
Non c’è tristezza: c’è connessione.
Come se quei confini che per noi sono netti — vivi di qua, morti di là — qui diventassero sfocati, morbidi, attraversabili. Un ponte fatto di zucchero, cera, poesia e…michelada (la bevanda tipica a base di birra, tabasco, succo di pomodoro, peperoncino – case, auto, viaggi e fogli di giornale).



L’altare che guida le anime (e noi)
Tutto ruota attorno all’ofrenda, l’altare che ogni famiglia allestisce per i propri cari defunti. Ci si mette di tutto: cibo, foto, candele, sigarette, bibite, oggetti personali, messaggi, c’è chi ci infila perfino un biglietto della metro. Perché l’anima, per tornare, ha bisogno di riconoscere la sua gente, le sue cose. Ha bisogno di sentire che c’è ancora spazio per lei. Che non è stata dimenticata.
Il pan de muerto, tondo, dolce, con le crosticine incrociate sopra, è ovunque. Come i fiori di cempasúchil che con il loro profumo guidano le anime verso casa. Come una mappa invisibile.
Ma c’è una regola importante: non si può costruire un’altare per chi è morto da poco. La sua anima non ha ancora trovato il cammino giusto — e si rischierebbe di trattenerla. Di lasciarla sospesa, tra i due mondi.
In Messico dicono che chi muore non può più parlare, ma può seguire la scia di chi lo ama ancora.
E poi c’è lei, la Catrina, iconica, elegante, beffarda, che nasce da una forte critica sociale: ridicolizzare gli indigeni che rinnegavano le loro radici per sembrare europei e che, pur nella povertà, cercavano di avvicinarsi all’immagine stereotipata del benessere, il colonizzatore bianco, acquistando cappelli di piume senza però avere abbastanza denaro per nutrirsi.
Diego Rivera ha reso la Catrina Calavera immortale, trasformandola da satira a icona. È il simbolo che ci ricorda che sotto la pelle, i titoli, le mode… siamo tutti uguali e che la morte non fa distinzioni, e che sotto i cappelli con la piuma, o l’iPhone 78 Ultra Pro Max, siamo tutti fatti di ossa.
E forse per questo ci fa meno paura.



Quando si celebra el Día de muertos
Il Día de Muertos non è solo il 1° e il 2 novembre.
È una settimana intera, e ogni giorno è dedicato a un tipo diverso di anima che proprio in quella giornata può raggiungere il suo altare:
- 27 ottobre: gli animali domestici
- 28 ottobre: chi è morto in modo violento
- 29 ottobre: chi è annegato
- 30 ottobre: chi è stato dimenticato o non ha famiglia
- 31 ottobre: i bambini mai nati
- 1° novembre: le anime pure e i bambini morti senza battesimo
- 2 novembre: tutti gli altri defunti
È un calendario dell’anima. E ognuna ha diritto al suo giorno, al suo altare, alla sua accoglienza.



I colori, le decorazioni, il simbolismo
Niente è casuale in questa celebrazione. Neanche nelle decorazioni di altari e strade.
I festoni di carta, i papel picado, rappresentano l’aria.
Il cibo, la terra.
Le candele, il fuoco, e vengono poste verso i 4 punti cardinali, per far sì che siano utili alle anime per orientarsi nel raggiungere la terra. L’acqua è spesso messa in bicchieri sull’altare, per dissetare le anime dopo il viaggio.


Dove vivere il Día de muertos
Tutto il Messico lo celebra da Chiuaua allo Yucatan. Ma se vuoi viverlo davvero, il mio consiglio è:
scappa dalle città enormi, vai nei villaggi.
Tutti parlano di Oaxaca. Ed è vero: è bellissima. Ma io il Día de Muertos l’ho vissuto a Naolinco, un piccolo pueblo nello stato di Veracruz. E lì, senza filtro, ho visto la verità di questa festa. Case aperte, altari da ammirare, cibo offerto agli sconosciuti, musica ovunque.
Una festa collettiva che mi ha fatto sentire dentro, mai turista (nonostante tanti sguardi incuriositi che ci scrutavano, per essere gli unici stranieri in quel luogo).
A Naolinco si entrava e si usciva dal cimitero come se fosse casa. Era tutto profondamente vivo. E per una volta, il mio compleanno è passato in secondo piano.
E va bene così.
Lì il confine tra vita e morte è ancora più sottile, se, però, come probabilmente sarà nella maggior parte dei casi, non hai amici local che ti portano nel luogo non turistico, o nel piccolo paesino di cui solo se sei del posto conosci l’esistenza, altra opzione per me altrettanto valida e più facilmente organizzative anche autonomamente, è passare el dia de muertos nella città di Oaxaca. Questo luogo è uno dei più belli che ho visitato nei vari viaggi in Messico, e il giorno dei morti viene festeggiato in maniere molto eccentrica, pur preservando la tradizione. Oaxaca è facilmente raggiungibile anche in autobus dall’aeroporto principale di CDMX (compagnia ADO) oppure con un ben più breve volo interno.
Nei giorni successivi si possono organizzare gite fuori porta alle piscine naturali di Hierve el Agua, o a una piantagione di agave con annessa degustazione di mezcal, per imparare a distinguere tequila e mezcal (spoiler: il mezcal si beve con arancia e sal de gusano, non con limone e sale come la tequila).
Un esempio di tour è questo, prenotatile via Get Your Guide tramite questo link (cancellazione gratuita entro 24 h dalla partenza) Hierve el agua + Distilleria da Oaxaca
How it ended
Il Día de muertos è una celebrazione che rispecchia la pura essenza messicana: dal suo profondo e naturale amore per i festeggiamenti alle tradizioni dalle origini ancestrali che dopo secoli vengono ancora perpetrate e seguite pedissequamente.
A volte basta solo spostarsi un po’ più in là, e girare lo sguardo verso un’altra direzione per capire come la nostra percezione del mondo non è l’unica, ma solo una tra tante, non l’unica, non la migliore, e che si può per emulazione, vivere anche il più triste dei giorni dell’anno in maniera allegra, pura, e felice.
Il Día de Muertos è un inno alla memoria viva, non alla nostalgia.
È una festa che non cancella il dolore, ma lo trasforma.
Che ci insegna a convivere con l’assenza, senza negarla.
Il modo migliore per viverlo è lasciarsi andare. Lasciare che il Messico ti entri dentro con i suoi odori, i suoi suoni, la sua filosofia semplice e profonda:
chi è stato amato, non muore mai davvero.
E in quei giorni, per le strade, questa cosa si sente.
Non si spiega. Non si fotografa.
Si vive.
E una volta che lo fai, torni diverso.
Più pieno.
Più vivo.
